Come sta incidendo l’effetto Covid-19 sulle imprese del Terziario a Ferrara e in provincia? Un sondaggio realizzato online da Ascom Confcommercio Ferrara fra le aziende associate restituisce l’andamento della situazione economica nel territorio, con particolare attenzione ai settori del commercio, del turismo, e dei pubblici esercizi, più direttamente toccati dal periodo di chiusura delle attività.
L’analisi, fondata sulle risposte di 366 imprenditori, si è concentrata da un lato sulle conseguenze in termini di fatturato, finanziamenti, e organizzazione del lavoro, dall’altro sulle aspettative per l’imminente futuro. Oggi (16/07) alle ore 12,30 in Ascom la presentazione dei risultati con la presenza del Presidente provinciale Giulio Felloni, del Direttore generale Davide Urban e l’intervento per un saluto istituzionale del Segretario camerale Mauro Giannattasio.
L’epidemia ha drasticamente ridotto i fatturati. Dopo il picco negativo di aprile – per il 41,3% il calo è stato superiore al 70% rispetto al 2019 –, anche in maggio, con l’inizio delle riaperture, pressoché la metà delle imprese (47,9%) dichiara fatturati inferiori almeno del 30%. Incide molto sul dato complessivo, l’andamento massimamente negativo dei pubblici esercizi e del turismo (che rappresentano il 35% degli intervistati). Fa solo in parte eccezione il commercio alimentare, nel quale sin dall’inizio della crisi i ricavi sono viceversa aumentati per una quota significativa di imprese (il 41,5% a marzo, il 31,7% a maggio).
Il monitoraggio del fatturato è limitato al trimestre marzo-maggio, ma l’evoluzione della crisi pure in giugno si coglie dall’attuale ricorso alla cassa integrazione. Si avvale ancora di ammortizzatori sociali il 40,5% delle imprese. A fronte della diminuzione del fatturato, è aumentata l’esigenza di liquidità: il 61,5% ha già dovuto rifinanziarsi con capitali propri o prestiti garantiti, e il 10,4% non esclude di doverlo fare. Le percentuali, sempre più marcate nel turismo e nei pubblici esercizi, denotano quali siano i comparti più lontani dal riprendersi.
Alla situazione di estrema difficoltà per tutti, non paiono aver dato efficaci risposte le misure pubbliche previste a favore delle imprese. Il giudizio è generalmente insufficiente per il 75,7%, e anche chi, come il commercio alimentare, non è mai stato costretto alla chiusura, condivide l’inadeguatezza dei provvedimenti presi (58,5%).
Allo stesso tempo, l’adozione delle misure di sicurezza anti-contagio sortisce effetti molto diversi a seconda del settore cui si applicano: mentre nel commercio oltre il 60% riconosce come i consumatori si siano abituati ai nuovi comportamenti senza che ciò abbia messo in particolare difficoltà l’organizzazione del lavoro, nei pubblici esercizi le precauzioni da prendere incidono in modo significativo sulla propensione della clientela a spendere (47,2%), e addirittura impedirebbero la sostenibilità economica dell’azienda se anche a medio-lungo termine ne fosse richiesto il rispetto (31,5%).
La crisi ridefinisce anche il lavoro, facendo di necessità virtù: doversi adattare ai tempi ha indotto una parte delle imprese, minoritaria ma significativa, a sperimentare con successo alcune modalità di lavoro che ritiene di mantenere in futuro. In particolare, nel commercio alimentare specialmente l’antico servizio della consegna a domicilio (41,5%) ma anche il moderno commercio elettronico online (24,4%); nei pubblici esercizi, l’asporto innanzitutto (36,1%) e la consegna a domicilio (27,8%); nel commercio non alimentare si è invece accentuata l’attenzione alla fidelizzazione della clientela e alla promozione dell’attività attraverso i social network (24,4%). Quasi nullo il ricorso al lavoro agile trattandosi in generale di imprese per cui il contatto col pubblico è spesso insostituibile.
Volendo ora definire una scala di priorità, la riduzione delle tasse (90,2%) e lo snellimento della burocrazia (61,2%) sono le urgenze che mettono tutti d’accordo, e in terzo luogo la concessione di contributi a fondo perduto (48.1%). Il fatto tuttavia che nel turismo e nei pubblici esercizi tale esigenza sia sentita da quasi il 60% esprime ancora una volta la maggiore crisi di queste categorie. “E’ evidente come si possa ipotizzare – riassume Giulio Felloni, presidente provinciale di Ascom Confcommercio Ferrara – che le Istituzioni pubbliche devono fare uno sforzo potente nei confronti del commercio, del turismo e dei servizi. Il rischio tra poche settimane a conclusione della pausa estiva è quello di una tempesta perfetta dove il calo dei consumi e la crisi di di liquidità condita con la malaburocrazia diano un colpo mortale alle imprese, che chiedono di lavorare,senza lacci e vincoli inutili, solo così si può riacquistare fiducia sul breve, medio e lungo periodo”
Ed a proposito del futuro, si manifesta in modo chiaro l’incertezza sul domani. Questione di tempo, insomma, che non è detto ci sia. Intanto, di certo si risparmierà badando più di prima a ridurre i costi (50%), ma non soltanto: una quota spiccata di imprese nel turismo (30%) e nei pubblici esercizi (25%) dovrà ridurre il personale, e in questi stessi settori circa un imprenditore su quattro valuta addirittura la chiusura dell’attività entro la fine dell’anno. In generale ci pensa l’11,7%.
Da che cosa soprattutto dipenderà allora il superamento della crisi? Non da sé, e non dagli aiuti ricevuti: la maggioranza (55,2%) aspetta semplicemente il graduale ritorno alle normali abitudini.
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Nella foto da sx il Direttore Urban, il Presidente Felloni, il Segretario della Cciaa Giannattasio